Difficile attendersi una rivoluzione da un governo che si è insediato solo il 22 ottobre scorso e ha avuto appena due mesi per preparare la manovra finanziaria. Ci sono motivi per sperare in un cambio di rotta su tasse, energia, ambiente, natalità. Anche se la crisi che viviamo è generazionale e non basta un governo a invertire la rotta. Dopo dieci anni di governi tecnici, e almeno sessant’anni di statalismo clientelare, sarebbe ingenuo sperare di potere cambiare le cose dall’alto e in tempi rapidi, per poi imputare al nuovo governo mancanze in tal senso. Chi non vuole patire delusioni non si faccia illusioni, quindi. Dobbiamo innanzitutto rinunciare all’aspettativa che sia sempre il governo, qualsiasi governo, a “fare”: forse il primo dovere di un governo è proprio quello di “non fare”, nel senso di “non fare danni”, riconoscendo il proprio ruolo, e quindi i propri limiti, in ordine al bene comune.
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“Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”
Giovanni Paolo II